A qualche chilometro da casa mia, dalle parti di Montebelluna e Treviso, esiste quella che definirei ‘riserva rock’, composta da personaggi e musicisti che si dedicano con passione alla causa, pur vivendo in contesti che di rock hanno spesso ben poco. Appartengono a questa positiva esperienza gli OJM, band di riferimento della dinamica Go Down Records, che proprio da queste parti ha importanti radici. Non conosco alla perfezione la storia della band e non frequento assiduamente i locali dove i quattro si esibiscono, ma, per svariati e buoni motivi, ho un ottimo rapporto con tutto il personale OJM. È gente concreta e dotata di talento, che vive su un altro binario, complice l’aria delle colline e la lontananza dalla città. Gente che non parla di rock, lo vive. Proprio lì, ai piedi delle montagne, suonano, scrivono e producono dischi come si deve, vantando con merito una dimensione artistica non comune, che sopravvive se credi che il tuo obiettivo non sia fare la rockstar, ma il musicista. Mescolano stoner rock, psichedelia e rock and roll, dagli MC5 ai Black Sabbath più progressivi, passando per i QOTSA, senza il timore di rallentare, lasciando transitare i propri pezzi ai confini dell’immaginazione grazie a progressioni sonore che, dopo un assalto iniziale, regalano sensazioni quasi spaziali. Sono dei fottuti freak con la dinamite in corpo, nonché dell’ottimo vino che li rende brillanti e fluidi esecutori sul palco e in registrazione. Insomma, è gente che mi piace. Sto riascoltando proprio in questi giorni Under the Thunder (2006) e Volcano (2010), quest’ultimo prodotto da Dave Catching (ex QOTSA). Contengono ottimi pezzi, con trame di chitarra e intrecci ritmici per niente scontati, molto fuzz e una voce che sembra uscita dai sixties più aggressivi e trascinanti. Manca forse la hit. Ma non è questo il punto, il resto c’è tutto e stiamo ragionando in altri termini. Occupatevi di loro e rendete il giusto tributo agli OJM, ne vale davvero la pena.