Kill’em all | Metallica (Megaforce Records, 1983) Kill’em all contiene diversi motivi per farsi apprezzare. Ha un sound autentico, grezzo e puzza di sala prove. Contiene almeno due classici del metal – Seek & Destroy e Whiplash – e se penso che, nell’anno della sua pubblicazione, uscivano film come Lo Squalo 3D e Flashdance, possiamo serenamente collocarlo nella preistoria. Non è il miglior album dei Metallica, ma ha il merito di gettare il ponte tra l’heavy metal inglese e la scuola americana della west coast, rapida e spietata, capace di arruolare il punk e disciplinarlo a base di riff ossessivi, ripetuti e taglienti. Hit The Lights, The Four Horseman e Motorbreath sono la sequenza formidabile che riscrive il manuale del perfetto disco heavy rock per almeno un lustro a venire. Poco importa che alcuni assoli collaborino con il mio mal di testa e la voce di James Hetfield sia ubriaca di riverbero, Kill’em all è un disco importante, segna la nascita del thrash e possiede quella vena d’ira e furore adolescenziale indispensabile per alzare la testa. Top song: Whiplash.
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HIT & RUN: Kory Clarke.
In attesa di ascoltare “Payback’s a Bitch”, il suo ultimo disco, Kory Clarke mi concede un volo a trecentosessanta gradi su musica, politica e curiosità personali. Sono cresciuto con i Warrior Soul, ho amato la loro rabbia e il loro sound, un mix formidabile di punk e rock and roll che mi ha sempre ispirato. Questo dovrebbe già dirvi tutto. Facciamo partire il nastro e godiamoci le parole di un artista libero, che non ha perso l’occasione per spiazzarmi e sorprendermi…
Sei nato nella Motor City, la patria di Iggy & the Stooges e della Motown. Cosa ha significato per te nascere in una città come Detroit? Non so cosa ci sia nell’aria, tanta musica viene fuori da Detroit e poche città al mondo possono vantare una simile quantità di buona musica. E’ bello venire da Detroit, tuttavia non vorrei vivere lì.
So che, in quegli anni, dopo un breve soggiorno a Londra ti sei trasferito a NY. Cosa pensi della città che più amo e nella quale, se non sbaglio, hai vissuto parecchio? Ora è un insieme di ragazzini ricchi, yuppies e teste di cazzo di Wall Street. Quando vivevo lì, negli anni ’80 e ’90, era una città senza legge, eccitante e divertente. Ho il timore che cadrà a pezzi prima che possa farci ritorno.
Nei tuoi testi c’è una costante attenzione al sociale, all’alienazione della società moderna, alla politica come feroce controllo sulle nostre vite. È nata prima l’esigenza di essere un musicista o quella di denunciare come cittadino lo stato delle cose? Io voglio solo andare al bar. Non mi interessa la politica o la società, dico solo cosa penso. Quando comincio a preoccuparmi per qualcosa sembra che poi vada sempre a finire male, con la gente che non ci crede o crede che io sia un imbecille, specialmente in America. Ma tutto questo non significa che non mi piacerebbe fare una rivoluzione.
Una vita fa.
Killers | Iron Maiden (Emi, 1981) Quando ascolto questo disco sento l’anima di anni che mi hanno solo sfiorato, lasciando sulla strada un forte sapore, capace di accendere la mia fantasia e immaginare un mondo che non mi apparteneva, per ragioni anagrafiche sopratutto. Non so cosa c’è dentro questo disco che mi fa esultare. Probabilmente tanta buona musica e un’energia primordiale che pulsa come sangue vivo in ogni traccia. Sarà che, dopo trentanni, la voce rude e autenticamente rock di Paul Di Anno è ancora in grado di emozionare e farti venir voglia di rovesciare la scrivania e mandare tutti affanculo. Musica veloce, urgente che brucia in ogni passaggio grazie a un fuoco di chitarre taglienti e al perfetto interplay tra il basso di Steve Harris e la batteria di un formidabile Clive Burr. Fotografia di un momento irripetibile, Killers è la colonna sonora dell’Inghilterra che dalle ceneri del punk rinasce tra le braccia della New Wave of British Heavy Metal. Ascoltatelo bene, c’è più rock and roll qui, senza trucco e senza inganno, che nella maggior parte dei dischi di tutto il decennio seguente.
Gunslinger e altre storie.
Mink de Ville | The Best Of Mink De Ville (EMI Records, 2003) New York, Lower East Side, 1975. Bar di periferia e tanti brutti ceffi, giacche in pelle, Marlboro morbide e vetture da seimila cc. Vengono da lontano, dal confine messicano o dalla vecchia Europa per fare della Grande Mela il più affascinante melting pot del pianeta. Ecco il mondo dei Mink De Ville e del suo leader Willy, uno degli ultimi poeti del rock and roll più decadente e vitale. Tristemente scomparso meno di un anno fa, De Ville nascondeva l’anima degli Stones, la grinta del miglior Springsteen e lo charme latino che lo fece divenire l’idolo della Parigi degli anni Novanta.
La raccolta che infiamma il mio pomeriggio contiene le cose più interessanti incise dalla band. La splendida Spanish Stroll, gli upbeat Cadillac Walk e Gunslinger, la ballad I Broke That Promise e il rumoroso rock di Venus Of Avenue D. Per tre lunghi anni, a partire dal 1977, scatenati rhythm and blues infiammarono la rumorosa platea del CBGB, mentre l’irresistibile attitudine bohémien del gruppo faceva dei Mink de Ville gli eroi di New York, prima del compact disc, di Madonna e della nascita della club culture.
Mink de Ville. Canzoni spericolate e seducenti per una raccolta lussuosa e lussuriosa.