Ghost in the Machine | The Police (A&M, 1981) È la cover, piuttosto enigmatica, che ancora oggi fatico a decifrare, il motivo che mi ha spinto all’ascolto di questo album. Nel 1981 non avevo ancora compreso cosa significassero i Police per la musica pop. Anni di frequentazione mi hanno introdotto sempre di più tra i solchi di un’opera a tratti cupa, spesso ossessiva, ma pulsante e mai noiosa. Piazzato in seconda posizione il singolo, mai banale, che Sting riesce sempre a scrivere, Ghost in the Machine sposa un’attitudine sospesa tra funky e progressive (Hungry for You & Secret Journey), lasciando solo alcuni episodi al mood punky reggae che li ha resi celebri (ottima Re-Humanise Yourself). Ghost in the Machine è un cielo d’estate prima di un temporale. Fresco, livido e lacerato dal vento, che gioca tra le sue nuvole inquieto, reinventandole senza sosta. Non piove mai, perché Andy Summers è un talentuoso astronauta, Stewart Copeland ha la forza di una nave spaziale e Sting sembra una supernova travestita da Arthur Koestler, la cui scrittura gli ispira i testi. Deliziosa la produzione di Hugh Padgham.
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Could They Be Loved.
Avete mai apprezzato appieno questi album? Non credo. Troppo poco ne sento parlare. I due capolavori reggae dal più famoso rastaman che il mondo ha conosciuto si chiamano Survival e Uprising. Giungono quando il capolinea di Marley è vicino. Vanno decisamente oltre l’ambito reggae, ormai il sound di Kingston scorre nelle vene del mondo, il suo respiro fa battere il cuore della pop generation.
Refrain memorabili, ritmi infernali e tutta l’Africa dell’universo si rovesciano nel mio amplificatore. Era il 1979. Quando li ascolto oggi nulla è cambiato. L’aroma di questi dischi si nasconde nella polvere e nel sole della Giamaica, terra di sangue, poesia e liberazione. Grandissima musica. Un’esperienza fantastica, grazie Bob.